BCC ravennate forlivese e imolese: intervista a Marco Peroni
"Possiamo intrattenere rapporti esclusivamente con persone e realtà che vivono o lavorano nelle nostre aree di competenza. Questa radicazione territoriale si traduce in un modello di banca locale che raccoglie risorse e le reinveste sul territorio, con un impegno concreto per il bene comune.La nostra sfida, oggi, è comunicare questi valori anche attraverso i social media come LinkedIn, Facebook e Instagram."
Dall'intervista di Marco Peroni
Social media strategy: sfide e opportunità
L. Bellini: Quali sono le finalità principali della vostra strategia di comunicazione sui social media? In che modo puntate a condividere e promuovere i valori della banca e coinvolgere il territorio?
M. Peroni: LA BCC ravennate, forlivese e imolese è una banca locale, profondamente radicata al territorio, siamo attivi a Ravenna, Forlì, Cesena e in alcuni comuni della provincia di Bologna. In termini di dimensioni contiamo circa 40.000 soci, il nostro organico è composto da circa 680 dipendenti.
Essendo una Banca di Credito Cooperativo (BCC), il nostro modello si fonda sulla mutualità e sulla partecipazione attiva dei soci, che rappresentano i nostri primi clienti. Le quote sociali, infatti, non hanno un carattere speculativo, ma costituiscono un investimento che consente di partecipare alla vita della cooperativa secondo il principio “una testa, un voto”. Questa modalità di partecipazione è accessibile a molti: basta un piccolo investimento, di poco superiore ai cinquecento euro, per entrare a far parte della nostra comunità.
Inoltre, la normativa ci impone di destinare almeno il 50% del credito ai nostri soci, secondo il principio della mutualità prevalente.
Un aspetto distintivo delle BCC è il vincolo di operatività territoriale. Possiamo intrattenere rapporti esclusivamente con persone e realtà che vivono o lavorano nelle nostre aree di competenza, che nel nostro caso includono circa sessanta comuni. Questo radicamento territoriale si traduce in un modello di banca locale che raccoglie risorse e le reinveste sul territorio, con un impegno concreto per il bene comune.
La nostra sfida, oggi, è comunicare questi valori anche attraverso i social media come LinkedIn, Facebook e Instagram.
L. Bellini: Quali sono, secondo te, le principali difficoltà e le sfide più complesse che chi ricopre un ruolo come il tuo si trova ad affrontare?
M. Peroni: La sfida più grande che affrontiamo, e non c’è da sorprendersi, è legata al budget. Negli ultimi anni, i costi delle sponsorizzate sui social, in particolare nell’ecosistema Meta, sono aumentati in modo significativo, mentre l’efficacia delle campagne sembra aver subito un calo tangibile. Questo è un dato che osserviamo soprattutto su Facebook, una piattaforma che, negli anni recenti, ha visto un cambiamento nella composizione del suo pubblico e nel tipo di interazioni che vi si sviluppano.
Alcune grandi banche, come UniCredit, hanno persino deciso di abbandonarla, e non è difficile immaginarne le ragioni: il livello di conversazione spesso risulta polarizzato e non sempre utile a costruire un dialogo costruttivo con i clienti.
Abbiamo esplorato Instagram, che in passato rappresentava una scelta interessante per la fascia d’età 16-25 anni. Tuttavia, anche questa piattaforma sembra oggi mostrare i primi segnali di un calo d’interesse. Inoltre, per un istituto bancario, Instagram pone sfide peculiari. La natura dei nostri prodotti – conti, mutui, carte di credito – non si presta facilmente a un’estetica accattivante o “patinata”. Abbiamo sperimentato l’uso di immagini, ma con risultati contrastanti. Ad esempio, una campagna legata ai prestiti per lo studio, raffigurante una giovane laureata, è stata bloccata dagli algoritmi della piattaforma e giudicata non conforme alle regole pubblicitarie.
Per questo motivo, LinkedIn rappresenta per noi un canale privilegiato. È uno spazio in cui possiamo comunicare in modo professionale, rivolgendoci a un pubblico mirato, e dove la qualità del contenuto prevale sull’apparenza. Inoltre, Google resta uno strumento essenziale. Pur non essendo un social, è di grande efficacia per la comunicazione e la promozione di servizi bancari fondamentali come assicurazioni, conti, carte di credito e mutui. A nostro avviso, LinkedIn e Google si confermano i canali più strategici per raggiungere i nostri obiettivi di comunicazione.
L. Bellini: Nelle tue risposte alla survey hai accennato al fatto che non c’è una vera e propria differenziazione nel piano editoriale declinato sui diversi canali sociali, è corretto?
M. Peroni: Devo ammettere che, come banca, ci troviamo a fronteggiare delle sfide particolari quando si tratta di storytelling. Non vendendo prodotti tangibili, ma servizi finanziari, siamo spesso vincolati da un linguaggio tecnico. Per esempio, quando parliamo di mutui, ci sono termini specifici che devono essere menzionati, il che rende lo storytelling più complesso da applicare in maniera fluida e coinvolgente.
Per quanto riguarda la differenziazione del linguaggio sui diversi social, abbiamo valutato che, nel nostro caso, non porta un valore significativo. Pur riconoscendo che ogni piattaforma ha le proprie caratteristiche comunicative, abbiamo scelto di mantenere un approccio più uniforme. Questa decisione è legata anche a considerazioni economiche e di efficienza: investire molte risorse per differenziare il linguaggio tra Facebook, Instagram e LinkedIn non ci avrebbe garantito un ritorno proporzionato allo sforzo.
La nostra strategia si basa su contenuti brevi e mirati, dove l’immagine visiva rimane centrale. Per approfondimenti più tecnici, come nel caso dei mutui, inseriamo link al sito web, anche se sappiamo che alcune piattaforme, come LinkedIn, tendono a penalizzare questo tipo di contenuti. Tuttavia, in contesti come quello bancario, non possiamo rinunciare a fornire dettagli completi, spesso impossibili da condensare nelle poche righe di un post.
L. Bellini: L. Bellini: Marco, considerando come è stata storicamente strutturata la nostra ricerca, sin dalla sua prima edizione nel 2013, quali sono, secondo te, i principali ambiti in cui i social possono essere utilizzati in chiave business? Si parla di marketing del prodotto, branding, customer service e anche di ambizioni più innovative come co-design e community building. Puoi approfondire questi aspetti?
M. Peroni: Per quanto riguarda il customer care, abbiamo deciso di non svilupparlo sui social. In passato, abbiamo osservato che gli utenti tendono a contattarti un po’ ovunque, generando una dispersione che può complicare la gestione delle richieste. Per questo preferiamo concentrarci su canali di assistenza tradizionale, come il telefono, che garantisce una maggiore efficienza.
Tuttavia, stiamo osservando con interesse l’evoluzione dell’Intelligenza Artificiale applicata al customer care. Molte banche, ad esempio, stanno sperimentando l’uso di strumenti come ChatGPT. Per ora, utilizziamo Partoo, che ci aiuta a gestire le sedi su Google, inclusa la possibilità di rispondere alle recensioni con l’aiuto dell’intelligenza artificiale. Va detto, però, che le risposte generate non vengono prese ‘per oro colato’. Spesso le modifichiamo per adeguarle a un tono più professionale e in linea con la nostra identità.
In sintesi, siamo ancora in una fase esplorativa rispetto all’Intelligenza Artificiale.
Per quanto riguarda il branding, riteniamo importante essere presenti sui social, poiché sono piattaforme frequentate da tutti, inclusi i nostri soci. Sul fronte della community, invece, ci sono alcune difficoltà. Ad esempio, su LinkedIn avevamo avviato iniziative di advocacy sfruttando i gruppi, ma ora la piattaforma ha annunciato che dismetterà questa funzionalità.
L. Bellini: Vorrei riprendere questa tua osservazione per chiederti: quanto è diffusa, tra i dipendenti e, in generale, nella cultura aziendale, la propensione all’utilizzo dei social? Inoltre, in che misura questa attitudine viene incoraggiata dal senior management e dalla direzione?
M. Peroni: Un progetto interessante, seppur ancora poco pubblicizzato, è quello legato ai LinkedIn Ambassador di Iccrea Banca, la nostra capogruppo. L’idea è di consentire ai dipendenti di comunicare liberamente, ma all’interno di un quadro organizzato.
In particolare, LinkedIn rappresenta una piattaforma strategica per amplificare i contenuti pubblicati dall’azienda.
È utile non solo che la banca comunichi attraverso i propri canali, ma anche che i dipendenti condividano e diffondano i messaggi in linea con i valori aziendali.
Ovviamente, in un’iniziativa di questo tipo, è fondamentale che esista una policy chiara, esplicita o implicita, che garantisca che ciò che viene pubblicato sia in linea con la comunicazione dell’azienda. Tuttavia, nonostante le buone intenzioni, il progetto, avviato durante il periodo del Covid, non ha ottenuto il successo sperato. Ci sono comunque alcuni dipendenti che, in autonomia, contribuiscono attivamente alla produzione e alla condivisione di contenuti.
Ritengo che un’iniziativa di questo tipo, se sviluppata in modo più strutturato, potrebbe rappresentare un grande valore aggiunto, sia per la banca che per il coinvolgimento interno dei dipendenti. È un progetto che mi sarebbe piaciuto portare avanti con maggiore attenzione.
L. Bellini: Scorrendo gli ultimi post su LinkedIn, ho notato una discreta attività e interazione interna, sia da parte di colleghi che di altre banche. Pensi che potrebbe essere utile un coordinamento più strutturato, una sorta di regia, per valorizzare meglio queste dinamiche?
M. Peroni: La mancanza di una regia strutturata è legata principalmente all’impegno gravoso che comporta per un’azienda. Crearla richiederebbe non solo risorse dedicate, ma anche la volontà, da parte di tutti i collaboratori, di seguire regole e policy definite.
È essenziale prevedere linee guida operative per affrontare anche situazioni di crisi. Ad esempio, se un socio o un cliente dovesse pubblicare un commento critico o un attacco diretto, è necessario che un social media manager intervenga, coordinandosi con le funzioni aziendali, definendo tempi e modalità d’azione appropriate.
Fortunatamente, abbiamo sempre adottato un approccio cauto e prudente, evitando di forzare le interazioni sui social. Questo è coerente con la nostra natura di banca tradizionale, dove i clienti continuano a preferire la relazione diretta in filiale. Nonostante il nostro impegno nel presidiare i canali digitali al meglio delle nostre capacità, non abbiamo mai implementato cambiamenti radicali o strategie particolarmente audaci o invasive.
L. Bellini: In termini di analisi dei risultati e dell’efficacia della vostra comunicazione digitale, avete notato un cambiamento significativo nel comportamento degli utenti post-Covid? Ad esempio, un aumento dell’utilizzo dei social media o dei canali digitali? Quali tendenze emergenti avete rilevato e come misurare l’impatto della tua attività sui social?
M. Peroni: Nel nostro settore abbiamo notato che “metterci la faccia” funziona molto bene. Quando i nostri dipendenti spiegano in prima persona, ad esempio, come funzionano i fondi pensione o i fondi etici, l’efficacia del messaggio aumenta notevolmente. Questi contenuti, spesso sotto forma di brevi video o interviste di pochi secondi, ma riescono a creare un rapporto più autentico con il pubblico.
È fondamentale trovare il giusto equilibrio, perché un soggetto troppo autonomo potrebbe rischiare di diventare il volto del brand, oscurando l’identità aziendale.
Per quanto riguarda le metriche, monitoriamo il CTR (Click-Through Rate), ma senza ossessionarci. Siamo consapevoli che, con pochi video e una comunicazione non particolarmente accattivante, non possiamo aspettarci grandi numeri.
Tuttavia, quando realizziamo le campagne più mirate, come l’inaugurazione di una nuova filiale, vediamo i risultati migliori: non sempre in termini di lead diretti, ma sicuramente per quanto riguarda le visualizzazioni e l’interesse generato.
Un punto fondamentale per noi è la privacy. Siamo estremamente attenti al rispetto delle normative, come il GDPR Non abbiamo mai caricato database interni su piattaforme come Meta per raggiungere i nostri clienti attraverso il social. Questa prudenza è parte integrante del nostro approccio. Infine, non utilizziamo strumenti come Sales Navigator, perché, al momento, non ne abbiamo percepito una reale utilità per le nostre attività.
L. Bellini: Per concludere, vorrei introdurre una domanda dalla mia collaboratrice Corinne Redaelli: “Nella pianificazione dei contenuti, puntate a raggiungere un’audience già familiare con il brand o cercare di intercettare un pubblico completamente nuovo?
M. Peroni: Di recente, a luglio, abbiamo sperimentato un approccio diverso, cercando di raggiungere nuovi target in occasione dell’apertura di una nuova filiale. Tuttavia, nella maggior parte dei casi ci concentriamo su un pubblico che già conosciamo. Questo perché spesso puntiamo su una rete di contatti vicini, come amici o conoscenti dei nostri clienti, proponendo loro servizi che potrebbero risultare utili.
C’è però un limite legato alla nostra natura territoriale: ad esempio, può capitare che qualcuno da Verona ci contatti, interessato a ciò che ha visto tra le condivisioni sui social, ma essendo al di fuori della nostra area di competenza non possiamo servire quella zona. Questo aspetto rappresenta un vincolo che dobbiamo tenere in considerazione.
L. Bellini: Per concludere, Marco, vorrei chiederti quale ritieni sia la tendenza più rilevante da monitorare nell’ambito di ottimizzazione dei processi digitali?
M. Peroni: Personalmente, mi piacerebbe sperimentare nuovi metodi per rendere il customer care più efficiente e fruibile. Al momento siamo ancora legati a un approccio tradizionale, basato principalmente sul servizio telefonico gestito da specialisti, sia all’interno delle filiali che a livello centrale.
La vera sfida è sviluppare sistemi talmente intelligenti da consentire una continuità delle informazioni: ciò che un collega discute con un cliente oggi dovrebbe poter essere accessibile e utilizzabile da un altro collega anche a distanza di anni. Questo richiede l’adozione di sistemi avanzati di Intelligenza Artificiale e metodologie strutturate per catalogare e gestire le informazioni in modo ottimale. È un percorso che va studiato con attenzione, ma che può offrire enormi vantaggi.
L. Bellini: La sfida che hai descritto si collega a un tema cruciale: il customer care non è solo un servizio, ma un elemento strategico che impatta direttamente sulla fidelizzazione e sulla soddisfazione del cliente. Un cliente ben servito è più propenso a rimanere fedele, a parlare positivamente dell’azienda e magari esplorare nuovi prodotti o servizi. In questo senso, il customer care diventa parte integrante di un sistema CRM di maggiore valore, con benefici sia nel breve che nel lungo termine.
M. Peroni: Sì, alla fine il nostro problema principale resta l’interazione con il CRM. Ad esempio, ho investito molto tempo nella gestione delle newsletter inviate a soci e clienti che ci hanno dato il consenso privacy, ma ho notato una difficoltà significativa: tutto ciò che accade con la newsletter non dovrebbe rimanere confinato lì. Dovrebbe essere accessibile e utile per diversi team di lavoro, cosa che al momento è complessa. Abbiamo una quantità enorme di dati, ma non sappiamo sempre come integrarli al meglio. Su questo c’è ancora tanto da lavorare.
Social Minds: la ricerca
Ringraziamo Marco Peroni per l’intervista ed suo prezioso contributo e per aver condiviso con noi visione e strategie arricchendo la nostra ricerca.
Attraverso una metodologia innovativa e multidimensionale, Social Minds si propone infatti di offrire insight strategici e actionable, essenziali per ottimizzare le strategie di digital engagement nel panorama finanziario in rapida evoluzione.
Uno dei principali obiettivi è analizzare il presente al fine di cogliere trend e nuove prospettive, trasformando i dati in suggerimenti pratici e, quindi, in un vantaggio competitivo.